Amiloidoisi cardiaca: “L’ho scoperta così!”

Danno cardiaco avanzato e neuropatia permanente sono due tra le conseguenze più gravi di una diagnosi tardiva dell’amiloidosi cardiaca, una malattia che, a seguito di un accumulo anomalo di proteine amiloidi nel tessuto cardiaco, causa disfunzione cardiaca progressiva. La diagnosi tardiva di amiloidosi è, purtroppo, comune, poiché i sintomi iniziali possono essere simili a quelli di altre patologie più diffuse, e la malattia si sviluppa lentamente nel tempo. Quando la diagnosi viene fatta in stadi avanzati, la malattia può essere già ben progredita e il danno agli organi, non solo al cuore e ai nervi periferici, ma anche ai reni, potrebbe essere esteso. È questo l’argomento delle nuova puntata di The Patient’s Voice, format di Sics e Popular Science dedicato ad approfondimenti medico scientifici, ma pensato per dare voce ai pazienti che, quotidianamente, vivono con una patologia. Accanto alla dott.ssa Giulia Saturi, Dirigente Medico di Cardiologia di Bologna, c’è, infatti, Giovanni Capone, un paziente affetto da amiloidosi cardiaca.

La storia di Giovanni e la sua diagnosi tardiva

“I primi sintomi li ho percepiti nel 2017 – racconta Giovanni Capone –. Inizialmente erano di natura neurologica, poi, hanno coinvolto anche i piedi. Dopo due anni sono subentrati problemi di equilibrio. A quel punto è arrivata la diagnosi di polineuropatia sensitivo-motoria associata alla sindrome del tunnel carpale”. La vita di Giovanni Capone è andata avanti così, tra accertamenti e diagnosi errate, fino al 2020, quando è stata accertata l’amiloidosi cardiaca. Il ritardo diagnostico del signor Capone non è casuale, ma piuttosto frequente. “I sintomi della patologia sono molto variegati – spiega la dott.ssa Giulia Saturi – e  non riguardano quasi mai un singolo organo  o un singolo apparato. Tale eterogeneità di sintomi dovrebbe essere sempre  tenuta ben presente sia dai medici di medicina generale che dagli specialisti”, sottolinea la cardiologa.

I sintomi dell’amiloidosi cardiaca

“Di contro, le manifestazioni dal punto di vista cardiaco sono abbastanza specifiche. I pazienti lamentano una riduzione della tolleranza allo sforzo: si rendono conto di non riuscire a fare più quel che facevano in precedenza, percependo un senso di affanno e dispnea. La sensazione riguarda inizialmente gli sforzi moderati o importanti e, via via, arriva a manifestarsi anche dinanzi a quelli più lievi, fino compromettere anche il riposo con difficoltà respiratorie notturne”, aggiunge la specialista. Tra le manifestazioni extra-cardiache vanno citate soprattutto le neuropatie, con fastidi che compaiono inizialmente a mani piedi per poi progredire. “Ancora – continua la dottoressa Saturi – disturbi gastrointestinali, come nausea, inappetenza e difficoltà digestive”. Un sintomo altrettanto tipico dell’amiloidosi cardiaca è il tunnel carpale, soprattutto se bilaterale, non associato ad un’attività lavorativa specifica.

La diagnosi

“È, dunque, molto importante che di fronte ad un sospetto della patologia si facciamo tutti gli esami diagnostici necessari per arrivare il più rapidamente possibile ad una diagnosi ed iniziare un trattamento efficace in breve tempo. Dal punto di vista cardiologico gli esami strumentali di primo livello sono quelli classici, quindi ecocardiogramma e elettrocardiogramma che, nei pazienti con sospetta amiloidosi cardiaca, rilevano di sovente un quadro di ipertrofia ventricolare, ovvero un cuore ‘ispessito’”, dice la cardiologa. Successivamente, esami più specifici permetteranno di distinguere tra le due grandi forme di amiloidosi: l’amiloidosi AL, forma sistemica non ereditaria, spesso dovuta alla produzione di proteine in eccesso da un tumore del midollo sanguigno (Mieloma) e l’amiloidosi TTR (da transtiretina) una proteina prodotta dal fegato che trasporta nel sangue il retinolo e gli ormoni tiroidei. “Esami ematici, delle urine e una scintigrafia offrono un quadro più chiaro della situazione. Ci sono poi i test genetici da effettuare tramite un tampone buccale, oppure con un prelievo di sangue che ci permette di identificare una mutazione genetica eventualmente presente. Un risultato positivo avrà poi dei risvolti non solo sul paziente in questione, ma anche sui familiari ai quali dovrà essere suggerito un medesimo controllo. In alcuni casi, nemmeno tutti questi accertamenti permettono di arrivare ad una diagnosi certa e sarà quindi necessario procedere ad una biopsia endomiocardica”, aggiunge la dottoressa Saturi.

La qualità della vita

Un percorso, dunque, lungo e contorto che scombussola la vita del paziente ed anche di chi gli sta accanto. “Per questo è fondamentale che venga garantito un supporto psicologico a tutti coloro che giungono ad una diagnosi di amiloidosi cardiaca – suggerisce il signor Capone -. Questa patologia ti costringe al cambiamento, all’adattamento, anche nell’abbigliamento o nelle cose più futili che tutti facciamo di solito nel corso di una giornata, come svitare un tappo di una bottiglia”.
Per la dottoressa Saturi “è la gestione del paziente nel suo complesso che va migliorata e per farlo è necessario che si crei una rete tra tutti gli specialisti coinvolti, dai cardiologi del territorio a quelli ambulatoriali, in sinergia con i centri specializzati nella diagnosi e nel trattamento dell’amiloidosi cardiaca. Non di secondaria importanza è essere in grado di spiegare alla persona che riceve una diagnosi che cos’è l’amiloidosi cardiaca, cosa c’è da aspettarsi da questa patologia e come, inevitabilmente, cambierà la vita di chi ne soffre. Spesso, chi è affetto da una patologie rara si sente abbandonato. Ed è per questo – conclude la cardiologa – che ogni medico dovrebbe prendere la mano del suo paziente ed accompagnarlo lungo tutto il suo percorso”.

di I.F.

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